Percorsi individuali per adulti

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Come scegliere il miglior psicologo quando attraversiamo un momento di difficoltà?

Come scegliere il miglior psicologo quando attraversiamo un momento di difficoltà?
Si tratta di una domanda che è necessario porsi, perché quando ci si affida ad un professionista psicologo si fa una scelta molto delicata, e si possono avere dei dubbi su quali criteri seguire.
Innanzi tutto, se cerchiamo un professionista perché siamo in un momento di difficoltà o per un problema psicologico specifico (depressione, ansia, disturbi alimentari …) è bene rivolgersi a uno psicologo psicoterapeuta. È sufficiente consultare l’Albo Professionale dell’Ordine degli Psicologi della propria Regione per sapere se il professionista che consultiamo ha acquisito una specifica formazione alla psicoterapia.
L’aver concluso tale formazione, che comprende formazione pratica e tirocinio, rappresenta una prima garanzia indispensabile.

Fatta questa prima distinzione ci troviamo di fronte alla scelta della persona a cui rivolgersi. Se non abbiamo conoscenze dirette chiederemo un appuntamento conoscitivo a un professionista che ci hanno indicato o che abbiamo trovato nella nostra zona. Il primo incontro, a mio parere, dovrà servire a conoscere il professionista in modo da poter valutare con calma come ci siamo sentiti durante l’incontro. Per questo, se possibile, sarebbe meglio incontrare almeno due psicoterapeuti, in modo da poter fare un confronto.
Del resto chi cerca uno psicoterapeuta non sta rivolgendosi a un meccanico a cui chiede di riparare la propria auto, e nemmeno a un medico a cui ci si affida per un malanno fisico. La psicoterapia è un incontro umano, un incontro tra persone. Per questo non vi sono criteri ‘oggettivi’ che guidino la scelta: per ciascun singolo paziente il miglior psicologo sarà innanzi tutto colui con il quale si instaura una buona relazione, o alleanza terapeutica. Sarà poi compito del terapeuta monitorare costantemente l’evolvere della relazione, sapendosene responsabile.

Uscendo da un incontro preliminare con uno psicoterapeuta dobbiamo esaminare soprattutto due aspetti. Il primo è: mi sono sentito accolto e ascoltato con attenzione ed empatia? Mi sono sentito a mio agio? Ho avvertito un sincero interesse per la mia vicenda, le mie difficoltà, le mie sofferenze? Mi ha fatto domande che mi hanno fatto capire che non dava nulla per scontato bensì voleva capire la specificità e unicità della mia esperienza? Oppure mi è parso di cogliere giudizi affrettati, e che riconducesse il mio caso a molti altri simili, ponendo scarsa attenzione alle sfumature e ai particolari?

Un secondo tipo di domande che dobbiamo porci riguarda le modalità operative concrete che lo psicoterapeuta ci propone: incontri individuali, o di coppia, o di famiglia? O, ancora, psicoterapia di gruppo? Inoltre: ci propone un percorso che prevede sedute ravvicinate per un periodo piuttosto lungo, o un approccio più focalizzato, che preveda meno incontri più distanziati nel tempo?
Dopo l’incontro di conoscenza dobbiamo chiederci se abbiamo compreso bene i motivi della proposta fattaci dallo psicoterapeuta. E, riflettendovi, dobbiamo decidere se il tipo di lavoro propostoci ci pare adeguato e ci fa sentire a nostro agio.

In definitiva, non si tratta di cercare il miglior psicologo in assoluto, ma un professionista che ci possa capire e aiutare davvero facendo un percorso con lui. E certamente avremo più possibilità di trovarlo se siamo molto attenti, fin dal primo approccio, alla persona e al tipo di relazione che si stabilisce nell’incontro.

Storia di una terapia online

Storia di una terapia online
Marilena (il nome, come sempre in questi casi, è di fantasia) è una giovane ricercatrice universitaria, brillante, estroversa, socievole. O, almeno, così racconta di essere stata fino al giorno in cui il ragazzo con cui conviveva da quasi un anno è sparito senza preavviso, portando con sé i suoi vestiti e i suoi libri e non facendosi sentire per diversi giorni. Qualcosa in lei si è spezzato, le notti sono divenute insonni, le giornate segnate da momenti di ansia acuta e dalla difficoltà a staccarsi dal pensiero angoscioso di come ciò sia stato possibile. Lui poi si è rifatto vivo, implorandola di riprendere la relazione, ma la fiducia ormai era venuta meno, e Marilena è stata ancora peggio: il desiderio di ricominciare con lui è forte, ma non appena immagina di ricominciare la relazione l’ansia cresce in modo esponenziale. Mi cerca dopo un vero e proprio attacco di panico, che l’ha costretta a chiamare il 118 e ad assentarsi dal lavoro, ciò che per lei è assolutamente inusuale e di cui si vergogna e si preoccupa.
Si lavora bene con Marilena: capiamo presto che il problema della fiducia tra uomo e donna è stato centrale nella sua famiglia d’origine, una famiglia benestante e ricca di qualità, ma segnata dalla personalità del padre, il quale (come il nonno, del resto) era noto in paese come uomo affascinante e seduttivo. Marilena, in qualità di primogenita, era stata ben presto coinvolta dalla madre che con lei si sfogava e si lamentava, soprattutto nei frequenti periodi depressivi. Alla luce di queste riflessioni Marilena decide di chiudere ogni rapporto con l’ex, sta subito meglio, e inizia a lavorare con impegno per un progetto che aveva un po’ abbandonato: essere ammessa a un periodo di ricerca all’estero presso un’università di chiara fama. Quando riesce in questo obiettivo si pone il problema di come proseguire i colloqui: io sono convinta che ci sia ancora molto lavoro da fare, e Marilena ne è consapevole. Decidiamo quindi di proseguire con colloqui online e la parte più importante del lavoro terapeutico si svolgerà in questo modo.
Voglio sottolineare il fatto che, fin da subito, la vicinanza emotiva è molto forte, nonostante i molti km che ci separano. Le difficoltà che Marilena incontra nell’ambientarsi in una situazione del tutto nuova, la solitudine, l’incertezza del futuro, fanno sì che le ansie e le paure ritornino. Di fronte a queste difficoltà emerge per la prima volta una profonda rabbia inespressa nei confronti di entrambi i genitori: Marilena piange, a volte urla il suo dolore; e potendo prendere coscienza di questo sentimento, accettandolo e integrandolo nell’immagine di sé come un’emozione ammissibile e giustificata, poco a poco inizia a stare davvero meglio. “Sento che mi sto costruendo come donna forte e consapevole; prima in fondo ero una ragazzina fin troppo ottimista e poco consapevole” dirà verso la conclusione del nostro percorso.
Questa è stata una delle mie prime esperienze di psicoterapia online. L’esigenza dei colloqui a distanza è nata proprio dall’evoluzione della terapia: il fatto che Marilena abbia inizialmente reagito ponendosi un nuovo obiettivo, cercando in sé le risorse per raggiungerlo, e riuscendoci, ha significato per lei doversi allontanare da Torino e ha aperto alla necessità/possibilità di lavorare a distanza.
Sento ancor oggi di dover ringraziare in cuor mio Marilena per questa esperienza e per ciò che mi ha insegnato.

Depressione

Depressione
C’è un posto a tavola anche per la tristezza
“La depressione è una signora vestita di nero che bisogna far sedere alla propria tavola ed ascoltare” . Carl Gustav Jung.
E’ un invito ad accoglierla e ad ascoltarla perché ha qualcosa da dirci su di noi; qualcosa che si presenta con un aspetto un po’ oscuro, ma che in realtà ci appartiene, e soprattutto potrebbe essere trasformata in risorsa e dunque utile.
Quello che si può definire “umore nero”, è composto da sentimenti di delusione, frustrazione, tristezza, e spesso sensi di colpa.
Perché i sensi di colpa?
Perché avvertiamo di non essere come idealmente dovremmo o vorremmo essere. Possiamo sentirci inadeguati, a confronto con i nostri ideali, oppure rispetto all’educazione ricevuta, magari troppo rigida, e non così realistica. In base ad essa non riusciamo ad accettare i nostri errori, le nostre discrepanze rispetto al modello.
Lo spazio dialogico e non giudicante della psicoterapia permette di spostare l’attenzione dai nostri presunti errori, ai modelli che usiamo per giudicarci. Questi ultimi potrebbero essere anacronistici o non del tutto corrispondenti alla nostra natura, caratteristiche e bisogni. Ciò che sembrava una nostra inadeguatezza, incapacità o fallimento, sotto una luce diversa può apparire invece una risorsa da valorizzare, una tappa da cui partire per un’autorealizzazione più autentica, che vada in una direzione non prevista dal modello. Può esserci qualcosa di autenticamente sbagliato o irrealistico nei nostri modelli, non in noi stessi.
Un’altra importante causa del senso di colpa è la comprensibile rabbia, provata a fronte di una frustrazione, delusione, costrizione; tale rabbia può essere erroneamente considerata negativa o “cattiva”, e dunque provocare ulteriori sensi di colpa.
Se si riesce a sollevare la rabbia dal peso dei sensi di colpa, e spesso ciò avviene nello spazio dialogico e non giudicante della psicoterapia, essa diventa combattività e può essere molto utile ad affermare se stessi, nonostante e talvolta proprio a partire dalle inevitabili frustrazioni.
La rabbia è uno degli aspetti che possono emergere in psicoterapia ed essere utilizzati; così come tutti gli scarti dal modello, che però corrispondono autenticamente a noi e alla nostra vita.
C’è ancora un elemento che emerge e si rivela utile, al di là delle previsioni: le frustrazioni stesse.
Quali sono le possibilità di venire a patti con una frustrazione?
Innanzitutto è importante non sentirsi, per ciò stesso, da meno; come se non fosse prevista la frustrazione nelle proprie vite, in un paradigma in cui le performances siano sempre al massimo, e in cui tutti i desideri siano appagati; e se così non è deve essere responsabilità di qualcuno, preferibilmente nostra.
Cambiando prospettiva, invece, si può prendere atto della frustrazione, e accoglierla come parte di sé accanto ad altre, acquistando così conoscenza, realismo e libertà, anche di perdere.
Ricordo il sogno di una paziente in cui la protagonista partorisce pietre, e si occupa di loro quasi come fossero dei bambini. Per lei è stato possibile attraverso il sogno riconoscere l’importanza di accogliere anche gli aspetti frustranti della propria vita (le pietre), come parte di essa e come portatori talvolta di cambiamenti positivi. Le è stato possibile sentire quanto tutto questo le desse in realtà solidità e libertà.
Le frustrazioni (pietre) che da un lato ci chiudono una certa strada, d’altro canto possono essere punto di partenza per un’altra (pietre miliari), magari più corrispondente a noi stessi.
Considerando che concedersi la libertà anche di perdere, ci permette di impegnarci con più leggerezza e realismo in nuovi progetti.

Parlo della cura della depressione anche nell’articolo depressione: è utile la terapia di coppia?

La psicoterapia individuale dopo un tradimento

La psicoterapia individuale dopo un tradimento
La scoperta di essere stati traditi dal partner è una delle esperienze più dolorose che un adulto possa vivere. Si tratta, in linguaggio psicologico, di una grave ‘ferita narcisistica’; a volte il tradimento può essere vissuto come un vero e proprio ‘trauma’: ciò accade quando chi scopre il tradimento nulla sospettava e nutriva profonda fiducia nel partner.
Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho incontrato spesso donne e uomini che cercavano aiuto individualmente dopo aver subito un tradimento. Più spesso la richiesta di psicoterapia individuale avviene dopo che il tradimento si è ripetuto; il primo tradimento del partner, infatti, pur essendo comunque fonte di grande dolore, di delusione e di rabbia, può essere superato dopo una crisi di coppia più o meno profonda e prolungata. Ricordo più di una persona che mi ha detto: “In fondo un errore può capitare a tutti, è stata un’infatuazione, è stata una leggerezza, siamo andati in crisi ma poi ci siamo riavvicinati”. Potremmo dire che, in questi casi, l’immagine del partner ne esce scalfita ma non radicalmente modificata: anche se con dolore e fatica, chi è stato tradito riesce a mantenere un’immagine dell’altro sostanzialmente positiva.
Questo non accade sempre, certo, e a volte è sufficiente la ferita del primo tradimento per rendere impossibile un recupero nella coppia. Ma è il ripetersi dell’esperienza che risulta più spesso irrecuperabile: in questi casi l’immagine dell’altro diviene profondamente negativa: è un ‘traditore incallito’, è una ‘bugiarda cronica’, ‘allora è proprio come suo padre che ha sempre messo le corna a sua madre’, ‘ce l’ha nel DNA’, ecc.
Quando un adulto si rivolge allo psicoterapeuta dopo un tradimento un punto centrale dei colloqui psicologici sarà il tema della fiducia. Oltre al dolore per la separazione e per il tradimento subito, infatti, chi è stato tradito ha sovente la difficoltà a fidarsi di un nuovo partner: ‘Come faccio ora a fidarmi ?’, ‘Questa esperienza mi ha segnato troppo, ora non ho più fiducia in nessuno’.
Lo psicoterapeuta, dopo aver accolto il profondo dolore, lavorerà per comprendere insieme cosa può aver portato alla crisi di coppia e al tradimento, quali segnali potevano essere percepiti e sono stati sottovalutati, e quali erano le insoddisfazioni anche di chi è stato tradito. Per poter provare di nuovo fiducia è necessario essersi dati una spiegazione convincente dell’accaduto, in modo da sentire che in un nuovo futuro rapporto si sarà capaci di capire per tempo i segnali di disagio propri e dell’altro e di affrontarli all’interno della relazione.
In alcuni casi è anche possibile rileggere insieme quanto accaduto come un’opportunità. Sovente l’immagine dell’ex viene rivista, a posteriori, come negativa indipendentemente dal tradimento: ‘Era un narcisista’, ‘In fondo è sempre stato un po’ irresponsabile e infantile’, ‘Era una donna affascinante, ma viziata, egocentrica, incontentabile’, ecc. in questi casi, superato il dolore del tradimento, è possibile vedere la fine di quella relazione come l’opportunità di una nuova relazione con una persona più matura, più disponibile al dialogo, e comunque più adatta a sé.

Attacchi di panico

Attacchi di panico
Sdrammatizzare gli attacchi di panico è possibile!
Non perché non se ne riconosca la drammaticità con cui si presentano nell’esperienza e nella vita delle persone, al contrario; ma una volta che se ne comprenda il significato, e gli si permetta di svilupparsi, è facile che in tempi brevi gli attacchi di panico si attenuino drasticamente e spesso scompaiano del tutto.
Se si cerca timor panico sul dizionario, vi si trova scritto: “timore improvviso, oscuro e irrefrenabile, come quello che gli antichi ritenevano suscitato dalla comparsa del dio Pan; il dio della natura intesa come forza vitale e creatrice…”
E se Pan è il dio della natura dentro di noi, egli può essere considerato il nostro istinto.  Cos’è dunque che temiamo quando abbiamo un attacco di panico? Spesso il nostro istinto, qualcosa che ci appartiene naturalmente, autenticamente ma che per qualche motivo ci fa paura.
Possiamo temere un nostro desiderio, predisposizione, aspirazione, che si fanno strada in noi, chiedono di realizzarsi, e di contribuire alla nostra autorealizzazione.
Li temiamo perché non ci si sente in grado di realizzarli, spesso sbagliando … perché sono in contrasto con l’immagine che abbiamo di noi, con quello che “dovremmo” o “vorremmo” idealmente essere, con un senso del dovere interpretato rigidamente …
Come è successo a Marina, una donna di 45 anni che si è rivolta a me per i suoi attacchi di panico; e di cui sono emerse paure e desideri.
L’educazione rigida e un po’ sessista, da lei ricevuta in Veneto, aggravata da una madre poco affettiva e succube di tale modello, erano in profondo contrasto con la sua natura vitale, creativa, e con i suoi desideri di autonomia anche affettiva, non solo lavorativa.
Si costringeva in una convivenza con un compagno poco amato, per paura della solitudine, e ad una certa remissività, in contrasto con il suo spirito combattivo.
Ecco quindi presentarsi nella sua vita un profondo e autentico desiderio di autonomia affettiva, ma allo stesso tempo il timore di essa. Marina dichiara di aver bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi, di qualcuno che la difenda dalle difficoltà della vita; in realtà è in grado di farlo in prima persona e il suo istinto lo sa, ma lei fa fatica a riconoscerlo, privandosi così di tale soddisfazione.
Emerge inoltre e chiede di essere espresso il suo spirito combattivo, da sempre presente in lei, tanto da averle permesso di costruirsi un’autonomia lavorativa ed economica, ma che Marina non ha mai del tutto riconosciuto e legittimato nell’ambito affettivo e delle relazioni, costringendosi ad una certa passività e remissività, che non le corrispondono.
Tali aspetti di lei premono per emergere, perché sono legati alla sua natura e ai suoi compiti vitali, ma le provocano panico e fantasie punitive.
Marina infatti nella sua infanzia e adolescenza si è confrontata con un padre talvolta violento, soprattutto nel momento in cui ne veniva messa in discussione l’autorità. Tuttora è preda di timori e fantasie punitive, come se avesse proiettato l’immagine di suo padre su una qualche autorità sovrannaturale (un dio, il destino, il caso …) che potrebbe punirla qualora si discosti dai modelli appresi.
Lo spazio non giudicante e dialogico della psicoterapia, fa emergere i suoi bisogni per quello che sono, con una visione più realistica di sé e degli altri, e di un possibile confronto fra persone. Per lei non si tratta più di confrontarsi con tradizioni immutabili, ma solamente con le personali convinzioni di una madre o di una nonna, legittime quanto le sue. Non si tratta più di relazionarsi con un padre-padrone, vissuto così nell’infanzia, né con un dio, di cui temere la vendetta (phthònos theòn) come facevano gli antichi greci; ma soltanto con un uomo, con cui essere più o meno in accordo o in contrasto.
Questo sfondo le permette di portare a compimento i suoi compiti vitali con sempre meno timori, talvolta con leggerezza, spesso con soddisfazione e piacere.
In psicoterapia si parte dalla paura e ben presto si lavora su aspetti propositivi, evolutivi della persona. Marina, che temeva l’autonomia, provando a viverla, prende coscienza di potercela fare e ne sperimenta in realtà la leggerezza.
In solitudine i suoi bisogni emergevano sotto forma di panico; nella relazione dialogica con la terapeuta, invece di proiettare ombre paurose, prendono pian piano forma e significato nella loro concretezza e trovano l’accoglienza necessaria al loro sviluppo.
Si tratta di lasciare emergere non solo quello che è il proprio istinto ( “il fiume che scorre sotto il fiume” secondo Clarissa Pinkola Estès), ma anche una visione più realistica di sé e dei rapporti, altro “fiume” potente e talvolta nascosto a noi stessi.
Questa visione ci permette di vivere relazioni paritarie e dialettiche, che a loro volta rendono spendibili i nostri desideri, aspirazioni, e “istinti”, con meno paure e sensi di colpa.

Stress da rientro dalle vacanze

Stress da rientro dalle vacanze
Cosa si può fare per affrontare lo stress da rientro dalle vacanze

Lo stress da rientro viene definito come un stato di malessere generale accompagnato da stanchezza, irritabilità, nervosismo, leggera depressione; spesso ci si sente fisicamente appesantiti, psicologicamente non pronti, schiacciati dal senso di responsabilità e dai compiti incombenti.
Solitamente vengono consigliati alcuni semplici accorgimenti, che riguardano il  portarsi con sé stili di comportamento che in vacanza ci hanno procurato benessere, come cercare di dormire di più, prendersi cura del proprio corpo con un’alimentazione sana e un po’ di attività fisica, continuare a dedicare del tempo alla famiglia e al partner, proprio come si tende a fare maggiormente durante le vacanze.

Oltre a tali abitudini, forse però è ancora più importante cercare di portarsi dietro quel sentimento di libertà sperimentato in vacanza nel seguire i propri tempi ed esigenze, nel coltivare i propri interessi e affetti, che si teme di perdere tornando alla vita lavorativa, e la cui perdita è causa di stress.

La ripresa del lavoro, il rientro a scuola dei propri figli, e altri impegni, sono caratterizzati nel nostro immaginario e anche nella realtà quotidiana, da orari, ritmi, regole, aspettative definite da altri più che da noi.
In vacanza abbiamo il principale obiettivo di rendere felici e appagati noi, sul lavoro gli altri: capoufficio, clienti, etc. E così nella nostra mente si profila una netta contrapposizione fra libertà e autodeterminazione da un lato  e vincoli, limiti, costrizioni dall’altro.

E’ importante però chiedersi se tale contrapposizione netta sia corretta; e se sia inevitabile perdere quel sentimento di libertà di cui parlavo prima, o non sia invece possibile portarselo dietro nella vita di tutti i giorni, e farne il centro organizzatore del proprio agire.

La libertà, intesa come autonomia, in realtà non è l’essere completamente sciolti da vincoli, ma operare scelte facendo riferimento a sé e non a qualche autorità superiore, magari dopo essersi informati e confrontati, e mettendo in conto la possibilità di sbagliare.

“La libertà non è il volo libero di un moscone, la libertà è partecipazione” (Giorgio Gaber). Cioè comprende l’altro, che ci pone comunque limiti.

La libertà assoluta sciolta da vincoli non è praticabile, è solo una fantasia di libertà; e non perché abbiamo vite troppo complicate o piene di impegni o dobbiamo soddisfare troppo le aspettative altrui,… neanche in vacanza abbiamo sperimentato una tale libertà assoluta (ad es. decidiamo di fare un’escursione, e poi piove o nostro figlio si ammala …).
Il fare affidamento su di sé nell’operare scelte non vuol dire essere sciolti da vincoli posti dall’esterno, ma vuol dire fare riferimento a sé nel gestire gli impegni: ci sono tanti modi differenti di rispondere agli impegni quanti sono gli individui.

Non solo per ridurre lo stress da rientro, ma per sfruttare le vacanza come occasione trasformativa, può essere utile farsi carico di tale proprio desiderio di libertà, sano e legittimo, rendendolo però più realistico e praticabile.
Tale libertà implica il non dare per scontato che ci sia una risposta preconfezionata ai nostri dubbi e scelte, il fare riferimento a sé nelle scelte quotidiane, sapendo di poter sbagliare e di procedere per tentativi ed errori.
Può essere utile aumentare le proprie conoscenze, informazioni, e stimoli, attraverso internet, la lettura di giornali di moda, la visione di programmi di cucina ..., però poi è ognuno di noi che reinterpreta i dettami della moda in base al proprio gusto e al proprio fisico, le ricette di cucina in base al proprio gusto e a quello di marito e figli, e in base alle proprie disponibilità, aggiungendo, togliendo o modificando ingredienti, alla ricerca di ciò che è meglio per noi.

Ciò che limita, ma allo stesso tempo rende praticabile la propria libertà è la natura della scelta (prendo un’alternativa e ne scarto un’altra) e la possibilità dell’errore, che non dipende dal fatto che non siamo sufficientemente esperti, ma che non possiamo conoscere o prevedere tutti i fattori presenti o intervenienti nell’immediato futuro.
Ad es. preparo un piatto che penso piaccia molto al mio partner, e poi quella sera lui è un po’ indisposto o preferisce mangiare più leggero; mi iscrivo ad un corso di acquagym, di fotografia o altro, che non  si rivela all’altezza delle mie aspettative, o nel frattempo mi sono maturate dentro altre esigenze … (infatti, oltre a non dipendere dalla nostra decisione tanti fattori esterni, non dipendono da essa neanche emozioni, sentimenti, esigenze) … se ne può prendere atto e muoversi di conseguenza, per es. modificando decisioni prese, tornando indietro da strade che si rivelano con il senno di poi poco utili, quando ciò è possibile.

Solo mettendo in conto tali limiti (dover rinunciare inevitabilmente a qualcosa o la possibilità quotidiana dell’errore e gli aggiustamenti continui di esso) si possono effettivamente praticare delle scelte facendo riferimento a sé. Diversamente si è costretti ad affidare le proprie decisioni ad altri (genitori, partner, giornali di moda, ricettari, etc.) nell’illusione di evitare l’errore e rinunciando così alla libertà di scegliere secondo i propri criteri.

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