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valeria rosso psicologo psicoterapeuta torino
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C’è un posto a tavola anche per la tristezza
“La depressione è una signora vestita di nero che bisogna far sedere alla propria tavola ed ascoltare” . Carl Gustav Jung.
E’ un invito ad accoglierla e ad ascoltarla perché ha qualcosa da dirci su di noi; qualcosa che si presenta con un aspetto un po’ oscuro, ma che in realtà ci appartiene, e soprattutto potrebbe essere trasformata in risorsa e dunque utile.
Quello che si può definire “umore nero”, è composto da sentimenti di delusione, frustrazione, tristezza, e spesso sensi di colpa.
Perché i sensi di colpa?
Perché avvertiamo di non essere come idealmente dovremmo o vorremmo essere. Possiamo sentirci inadeguati, a confronto con i nostri ideali, oppure rispetto all’educazione ricevuta, magari troppo rigida, e non così realistica. In base ad essa non riusciamo ad accettare i nostri errori, le nostre discrepanze rispetto al modello.
Lo spazio dialogico e non giudicante della psicoterapia permette di spostare l’attenzione dai nostri presunti errori, ai modelli che usiamo per giudicarci. Questi ultimi potrebbero essere anacronistici o non del tutto corrispondenti alla nostra natura, caratteristiche e bisogni. Ciò che sembrava una nostra inadeguatezza, incapacità o fallimento, sotto una luce diversa può apparire invece una risorsa da valorizzare, una tappa da cui partire per un’autorealizzazione più autentica, che vada in una direzione non prevista dal modello. Può esserci qualcosa di autenticamente sbagliato o irrealistico nei nostri modelli, non in noi stessi.
Un’altra importante causa del senso di colpa è la comprensibile rabbia, provata a fronte di una frustrazione, delusione, costrizione; tale rabbia può essere erroneamente considerata negativa o “cattiva”, e dunque provocare ulteriori sensi di colpa.
Se si riesce a sollevare la rabbia dal peso dei sensi di colpa, e spesso ciò avviene nello spazio dialogico e non giudicante della psicoterapia, essa diventa combattività e può essere molto utile ad affermare se stessi, nonostante e talvolta proprio a partire dalle inevitabili frustrazioni.
La rabbia è uno degli aspetti che possono emergere in psicoterapia ed essere utilizzati; così come tutti gli scarti dal modello, che però corrispondono autenticamente a noi e alla nostra vita.
C’è ancora un elemento che emerge e si rivela utile, al di là delle previsioni: le frustrazioni stesse.
Quali sono le possibilità di venire a patti con una frustrazione?
Innanzitutto è importante non sentirsi, per ciò stesso, da meno; come se non fosse prevista la frustrazione nelle proprie vite, in un paradigma in cui le performances siano sempre al massimo, e in cui tutti i desideri siano appagati; e se così non è deve essere responsabilità di qualcuno, preferibilmente nostra.
Cambiando prospettiva, invece, si può prendere atto della frustrazione, e accoglierla come parte di sé accanto ad altre, acquistando così conoscenza, realismo e libertà, anche di perdere.
Ricordo il sogno di una paziente in cui la protagonista partorisce pietre, e si occupa di loro quasi come fossero dei bambini. Per lei è stato possibile attraverso il sogno riconoscere l’importanza di accogliere anche gli aspetti frustranti della propria vita (le pietre), come parte di essa e come portatori talvolta di cambiamenti positivi. Le è stato possibile sentire quanto tutto questo le desse in realtà solidità e libertà.
Le frustrazioni (pietre) che da un lato ci chiudono una certa strada, d’altro canto possono essere punto di partenza per un’altra (pietre miliari), magari più corrispondente a noi stessi.
Considerando che concedersi la libertà anche di perdere, ci permette di impegnarci con più leggerezza e realismo in nuovi progetti.

Parlo della cura della depressione anche nell’articolo depressione: è utile la terapia di coppia?

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