Argomenti
La psicoterapia con coppie omosessuali
Anche le coppie omosessuali richiedono la psicoterapia di coppia?
Ovviamente sì, e ho seguito alcune coppie omosessuali che mi hanno molto arricchito umanamente e professionalmente. Ho incontrato persone sofferte, sensibili, profonde, a volte giustamente arrabbiate per le esperienze non facili che avevano dovuto affrontare, spesso felici e piene di vita e progetti grazie al loro incontro.
Le difficoltà relazionali che possono presentarsi nella vita di coppia non sono differenti nelle coppie omo e etero sessuali. Ad esempio il conflitto tra il vivere la coppia come occasione di autonomizzazione dalla propria famiglia d’origine, e, nel contempo, avvertire la paura di questa emancipazione che comporta l’abbandonarsi fino in fondo al nuovo legame.
Allo stesso modo le difficoltà relazionali dovute alle differenze di ‘carattere’ compaiono, come nelle coppie etero, quando alcuni tratti di personalità dell’altro (magari proprio quelli che inizialmente erano stati motivo di attrazione) divengono, con gli anni, fonte di insoddisfazione e incomprensione. Anche le gelosie, la paura del tradimento e la mancanza di fiducia sono drammi che le coppie omo sperimentano come le coppie etero.
Vi sono comunque anche specificità della coppia omo, legate in buona parte al fatto che la condizione omosessuale non è ancora, nella nostra società, del tutto accettata come normale.
Una difficoltà specifica si ha, ad esempio, quando le rispettive famiglie d’origine hanno posizioni differenti rispetto all’omosessualità: può accadere che l’una delle due famiglie ha buoni rapporti con la coppia, mentre l’altra non è nemmeno a conoscenza dell’omosessualità della figlia o del figlio. Il membro della coppia che ha buoni rapporti con la propria famiglia può in questo caso accusare la/il partner di non avere il coraggio di affrontare il coming out, e vivere ciò come una svalutazione dell’importanza della coppia; l’altro/a, a sua volta, non si sentirà capita/o e accettato/a pienamente.
E se una coppia desidera avere un figlio? Senza entrare in questa sede nelle complesse questioni medico legali, è facile intuire che la coppia dovrà chiedersi: chi delle due donne porterà avanti la gravidanza? Oppure: chi dei due uomini donerà il proprio seme? E’ chiaro che la scelta non sarà facile, e potrà aprire un conflitto anche molto sofferto; ma potrà anche essere occasione di un percorso di crescita reciproca che permetta alla coppia un salto di qualità nella propria relazione – esattamente come può accadere alle coppie etero a partire da problematiche differenti.
Ovviamente sì, e ho seguito alcune coppie omosessuali che mi hanno molto arricchito umanamente e professionalmente. Ho incontrato persone sofferte, sensibili, profonde, a volte giustamente arrabbiate per le esperienze non facili che avevano dovuto affrontare, spesso felici e piene di vita e progetti grazie al loro incontro.
Le difficoltà relazionali che possono presentarsi nella vita di coppia non sono differenti nelle coppie omo e etero sessuali. Ad esempio il conflitto tra il vivere la coppia come occasione di autonomizzazione dalla propria famiglia d’origine, e, nel contempo, avvertire la paura di questa emancipazione che comporta l’abbandonarsi fino in fondo al nuovo legame.
Allo stesso modo le difficoltà relazionali dovute alle differenze di ‘carattere’ compaiono, come nelle coppie etero, quando alcuni tratti di personalità dell’altro (magari proprio quelli che inizialmente erano stati motivo di attrazione) divengono, con gli anni, fonte di insoddisfazione e incomprensione. Anche le gelosie, la paura del tradimento e la mancanza di fiducia sono drammi che le coppie omo sperimentano come le coppie etero.
Vi sono comunque anche specificità della coppia omo, legate in buona parte al fatto che la condizione omosessuale non è ancora, nella nostra società, del tutto accettata come normale.
Una difficoltà specifica si ha, ad esempio, quando le rispettive famiglie d’origine hanno posizioni differenti rispetto all’omosessualità: può accadere che l’una delle due famiglie ha buoni rapporti con la coppia, mentre l’altra non è nemmeno a conoscenza dell’omosessualità della figlia o del figlio. Il membro della coppia che ha buoni rapporti con la propria famiglia può in questo caso accusare la/il partner di non avere il coraggio di affrontare il coming out, e vivere ciò come una svalutazione dell’importanza della coppia; l’altro/a, a sua volta, non si sentirà capita/o e accettato/a pienamente.
E se una coppia desidera avere un figlio? Senza entrare in questa sede nelle complesse questioni medico legali, è facile intuire che la coppia dovrà chiedersi: chi delle due donne porterà avanti la gravidanza? Oppure: chi dei due uomini donerà il proprio seme? E’ chiaro che la scelta non sarà facile, e potrà aprire un conflitto anche molto sofferto; ma potrà anche essere occasione di un percorso di crescita reciproca che permetta alla coppia un salto di qualità nella propria relazione – esattamente come può accadere alle coppie etero a partire da problematiche differenti.
Depressione: è utile la terapia di coppia?
Anche quando c’è un problema individuale, come la depressione di un adulto, affrontarlo in coppia può essere molto utile. Quando il partner è disponibile, infatti, la coppia può essere una formidabile risorsa.
La sig.ra Anna, di 55 anni, attraversa un momento depressivo in seguito alla morte della madre. Mi contatta il marito preoccupato, chiedendomi un appuntamento per lei. Gli propongo di accompagnarla e chiedo ad entrambi se sono disponibili a parlarne insieme. Ripercorrendo la storia della famiglia capiamo che negli ultimi anni la coppia si era inavvertitamente allontanata: quando la mamma di Anna era rimasta vedova, Anna aveva iniziato a tenerle sempre più compagnia; il marito aveva accettato la situazione tenendosi dentro un dispiacere non espresso. I colloqui di coppia hanno permesso l’emergere della tristezza e delusione del marito, e hanno favorito il superamento del lutto, attraverso un riavvicinamento di coppia.
Lavorando con la coppia, pur partendo dal disagio individuale di Anna, lei ha potuto non sentirsi l’unica in difficoltà e il marito ha potuto esprimere le proprie delusioni e un po’ di rabbia nascosta. Entrambi sono riusciti a riavvicinarsi dopo anni di involontaria distanza.
La sig.ra Anna, di 55 anni, attraversa un momento depressivo in seguito alla morte della madre. Mi contatta il marito preoccupato, chiedendomi un appuntamento per lei. Gli propongo di accompagnarla e chiedo ad entrambi se sono disponibili a parlarne insieme. Ripercorrendo la storia della famiglia capiamo che negli ultimi anni la coppia si era inavvertitamente allontanata: quando la mamma di Anna era rimasta vedova, Anna aveva iniziato a tenerle sempre più compagnia; il marito aveva accettato la situazione tenendosi dentro un dispiacere non espresso. I colloqui di coppia hanno permesso l’emergere della tristezza e delusione del marito, e hanno favorito il superamento del lutto, attraverso un riavvicinamento di coppia.
Lavorando con la coppia, pur partendo dal disagio individuale di Anna, lei ha potuto non sentirsi l’unica in difficoltà e il marito ha potuto esprimere le proprie delusioni e un po’ di rabbia nascosta. Entrambi sono riusciti a riavvicinarsi dopo anni di involontaria distanza.
Psicoterapia di coppia: la crisi come opportunità. Esperienze di psicoterapia di coppia nel mio studio di Torino.
Ogni coppia ha una storia tutta sua, unica e irripetibile, ricca di emozioni molto intense, di momenti appassionati e di momenti drammatici. Credo sia inevitabile che una coppia attraversi momenti di crisi e di difficoltà. A volte si tratta di semplici periodi di allontanamento emotivo, a volte di vere e proprie crisi che possono mettere a rischio il rapporto.
Quando una coppia in difficoltà mi consulta come psicoterapeuta il mio obiettivo è riuscire a vedere il momento di crisi come una opportunità, come l’occasione di un cambiamento che porti entrambi a stare meglio: il mio obiettivo non è tanto che la coppia ritrovi l’equilibrio precedente la crisi, bensì che trovi una modalità più soddisfacente di stare insieme.
Il mio impegno come psicoterapeuta di coppia sarà quindi ascoltare in modo attento e partecipe ciascuno dei partner, non giudicare, non accettare di fare l’arbitro che dà ragione all’uno o all’altro. Cercherò piuttosto di ripercorrere la storia di coppia e ricostruire la storia della famiglia d’origine di ciascuno, per poi chiedermi: quale ‘nodo’ non risolto la crisi sta mettendo in luce ? quale era la difficoltà finora non compresa che l’attuale momento di crisi mette in evidenza e, quindi, permette di affrontare ?
Ad esempio ricordo una psicoterapia di coppia in cui, nel ripercorrere la storia di coppia, emerse che le due famiglie d’origine, di estrazione sociale differente, non erano del tutto d’accordo al matrimonio; la nascita del primo figlio fece emergere problemi rispetto ai modelli educativi, al ruolo dei nonni, ecc. Abbiamo quindi lavorato affinché ciascuno dei due coniugi si ‘differenziasse’ maggiormente dalla propria famiglia, per coinvolgersi più lealmente con il partner nel confronto e nella condivisione del come fare i genitori.
Un altro esempio può essere quello di una coppia con difficoltà sessuali per cui si sono rivolti a me nel mio studio di Torino. Il racconto delle storie delle rispettive famiglie di origine permise a lei di parlare per la prima volta di una molestia subita all’interno della famiglia, con cui aveva praticamente tagliato i ponti dopo essersi trasferita a Torino. La psicoterapia ha permesso di svelare questo difficile ‘segreto’, di far emergere le paure di lei di non essere capita, e di scoprire la piena disponibilità di lui a comprenderla e ad esserle emotivamente vicino.
Quando una coppia in difficoltà mi consulta come psicoterapeuta il mio obiettivo è riuscire a vedere il momento di crisi come una opportunità, come l’occasione di un cambiamento che porti entrambi a stare meglio: il mio obiettivo non è tanto che la coppia ritrovi l’equilibrio precedente la crisi, bensì che trovi una modalità più soddisfacente di stare insieme.
Il mio impegno come psicoterapeuta di coppia sarà quindi ascoltare in modo attento e partecipe ciascuno dei partner, non giudicare, non accettare di fare l’arbitro che dà ragione all’uno o all’altro. Cercherò piuttosto di ripercorrere la storia di coppia e ricostruire la storia della famiglia d’origine di ciascuno, per poi chiedermi: quale ‘nodo’ non risolto la crisi sta mettendo in luce ? quale era la difficoltà finora non compresa che l’attuale momento di crisi mette in evidenza e, quindi, permette di affrontare ?
Ad esempio ricordo una psicoterapia di coppia in cui, nel ripercorrere la storia di coppia, emerse che le due famiglie d’origine, di estrazione sociale differente, non erano del tutto d’accordo al matrimonio; la nascita del primo figlio fece emergere problemi rispetto ai modelli educativi, al ruolo dei nonni, ecc. Abbiamo quindi lavorato affinché ciascuno dei due coniugi si ‘differenziasse’ maggiormente dalla propria famiglia, per coinvolgersi più lealmente con il partner nel confronto e nella condivisione del come fare i genitori.
Un altro esempio può essere quello di una coppia con difficoltà sessuali per cui si sono rivolti a me nel mio studio di Torino. Il racconto delle storie delle rispettive famiglie di origine permise a lei di parlare per la prima volta di una molestia subita all’interno della famiglia, con cui aveva praticamente tagliato i ponti dopo essersi trasferita a Torino. La psicoterapia ha permesso di svelare questo difficile ‘segreto’, di far emergere le paure di lei di non essere capita, e di scoprire la piena disponibilità di lui a comprenderla e ad esserle emotivamente vicino.
Sesso: dovere o piacere? Un approccio utile all’ansia da prestazione
Vorrei riflettere con voi sui motivi della notevole diffusione di problematiche sessuali, di cui l’ansia da prestazione sessuale è una delle principali sul versante maschile, ma ha anche un ruolo significativo nei problemi femminili.
Soprattutto vorrei riflettere su una diffusa difficoltà, che potenzialmente riguarda ognuno di noi, a raggiungere una piena soddisfazione nella sfera della sessualità.
E’ curioso che ciò si verifichi in un periodo storico in cui l’evoluzione socioculturale ha portato l’individuo ad essere mediamente più libero da sensi di colpa e inibizioni, ben informato circa le diverse posizioni e tecniche amatorie, favorevole ad un atteggiamento obiettivo e scientifico verso la sessualità e così via.
Dopo aver sciolto pregiudizi e allentato divieti morali legati alla sessualità, proviamo a capire cosa altro pesa sulla possibilità di coltivare liberamente e senza troppe ansie il piacere.
L’ansia da prestazione consiste nel timore del manifestarsi di una difficoltà sessuale, talvolta già vissuta in passato, che riteniamo non ci permetta di soddisfare appieno il nostro partner. Da tale timore consegue ansia e ipercontrollo che, interferendo con il coinvolgimento sessuale, divengono essi stessi origine del problema temuto.
E’ comprensibile avere il desiderio di soddisfare il proprio partner, ma quando l’ansia prevale, è perché colleghiamo un po’ troppo strettamente il bisogno di soddisfarlo con la conferma di noi stessi e della nostra adeguatezza. L’esperienza sessuale è allora legata più che alla felicità di coppia e alla comune ricerca del piacere, ad un proprio bisogno di conferma attraverso l’altro. L’eccessiva ricerca di approvazione da parte dell’altro riduce la spontaneità.
Il primo dubbio che è utile porsi è se siamo sicuri che il nostro partner si aspetti davvero “una prestazione”. Spesso, infatti, se ha una relazione personale con noi, e non ci considera puramente oggetti sessuali, è probabile che si aspetti attenzioni più che prestazioni, e sia addirittura infastidito da un atteggiamento più attento alla prestazione che alla relazione.
Riflettendo sulla parola stessa "prestazione", essa richiama l’idea di una prova fornita, intesa a richiamare l’attenzione sulle particolari capacità di colui che si esibisce. La prestazione ha un carattere pubblico, nel senso che il modo in cui l’atto viene eseguito è soggetto all’osservazione e alle critiche, se non di un pubblico, comunque di un’altra persona. La soddisfazione del partner diviene più importante del proprio piacere, con la conseguenza di un appagamento sessuale soltanto parziale.
Può essere utile modificare allora i termini della questione: non che l’altro non sia importante, ma lo è come partner, con esigenze e bisogni in parte diversi dai nostri, da esplorare insieme; non come specchio che ci confermi.
E’ importante quanto lo siamo noi, non di più.
Paradossalmente proprio il mettere al centro il bisogno di conferme della propria potenza sessuale o avvenenza, dà troppa importanza all’altro, a scapito di sé, perché da lui dipendiamo per tali conferme.
Effettivamente al giorno d’oggi il punto debole dell’individuo non è più tanto il senso di colpa dovuto a desideri sessuali o aggressivi moralmente riprovevoli come ai tempi di Freud, ma il senso di inadeguatezza per non essere sufficientemente performanti o riconosciuti sul piano lavorativo, sociale, e anche sessuale, collegando così strettamente l’approvazione, ammirazione dell’altro/altri alla propria autostima.
Per quanto riguarda la sessualità, l’abbiamo sottratta dall’ambito dei divieti morali, e l’abbiamo sottoposta a quello della prestazione (cerco conferme della mia virilità o della mia avvenenza). Dov’è dunque il vantaggio? Ci troviamo sempre nell’ambito del dovere (non più tanto il dovere di attenersi a prescrizioni morali, quanto quello di essere all’altezza di prestazioni e aspettative).
E allora il piacere, che per esprimersi necessita principalmente di spontaneità, nella migliore delle ipotesi è un estraneo che si imbuca ad una festa; nella peggiore rimane fuori dalla porta.
Cosa fare per ridare al piacere il ruolo di protagonista?
Innanzitutto considerare il partner realisticamente per quello che è: non uno specchio che ci dia conferme o disconferme, che decreti il nostro successo o fallimento, ma un partner di una relazione sessuale in cui è centrale la comune ricerca del piacere, fatta però ognuno a modo proprio e a partire dalle proprie esigenze; tale ricerca richiede dunque ascolto, e stimolo reciproco alla spontaneità, in consonanza con l’autentica natura emozionale della sessualità.
Vorrei riflettere con voi sui motivi della notevole diffusione di problematiche sessuali, di cui l’ansia da prestazione sessuale è una delle principali sul versante maschile, ma ha anche un ruolo significativo nei problemi femminili.
Soprattutto vorrei riflettere su una diffusa difficoltà, che potenzialmente riguarda ognuno di noi, a raggiungere una piena soddisfazione nella sfera della sessualità.
E’ curioso che ciò si verifichi in un periodo storico in cui l’evoluzione socioculturale ha portato l’individuo ad essere mediamente più libero da sensi di colpa e inibizioni, ben informato circa le diverse posizioni e tecniche amatorie, favorevole ad un atteggiamento obiettivo e scientifico verso la sessualità e così via.
Dopo aver sciolto pregiudizi e allentato divieti morali legati alla sessualità, proviamo a capire cosa altro pesa sulla possibilità di coltivare liberamente e senza troppe ansie il piacere.
L’ansia da prestazione consiste nel timore del manifestarsi di una difficoltà sessuale, talvolta già vissuta in passato, che riteniamo non ci permetta di soddisfare appieno il nostro partner. Da tale timore consegue ansia e ipercontrollo che, interferendo con il coinvolgimento sessuale, divengono essi stessi origine del problema temuto.
E’ comprensibile avere il desiderio di soddisfare il proprio partner, ma quando l’ansia prevale, è perché colleghiamo un po’ troppo strettamente il bisogno di soddisfarlo con la conferma di noi stessi e della nostra adeguatezza. L’esperienza sessuale è allora legata più che alla felicità di coppia e alla comune ricerca del piacere, ad un proprio bisogno di conferma attraverso l’altro. L’eccessiva ricerca di approvazione da parte dell’altro riduce la spontaneità.
Il primo dubbio che è utile porsi è se siamo sicuri che il nostro partner si aspetti davvero “una prestazione”. Spesso, infatti, se ha una relazione personale con noi, e non ci considera puramente oggetti sessuali, è probabile che si aspetti attenzioni più che prestazioni, e sia addirittura infastidito da un atteggiamento più attento alla prestazione che alla relazione.
Riflettendo sulla parola stessa "prestazione", essa richiama l’idea di una prova fornita, intesa a richiamare l’attenzione sulle particolari capacità di colui che si esibisce. La prestazione ha un carattere pubblico, nel senso che il modo in cui l’atto viene eseguito è soggetto all’osservazione e alle critiche, se non di un pubblico, comunque di un’altra persona. La soddisfazione del partner diviene più importante del proprio piacere, con la conseguenza di un appagamento sessuale soltanto parziale.
Può essere utile modificare allora i termini della questione: non che l’altro non sia importante, ma lo è come partner, con esigenze e bisogni in parte diversi dai nostri, da esplorare insieme; non come specchio che ci confermi.
E’ importante quanto lo siamo noi, non di più.
Paradossalmente proprio il mettere al centro il bisogno di conferme della propria potenza sessuale o avvenenza, dà troppa importanza all’altro, a scapito di sé, perché da lui dipendiamo per tali conferme.
Effettivamente al giorno d’oggi il punto debole dell’individuo non è più tanto il senso di colpa dovuto a desideri sessuali o aggressivi moralmente riprovevoli come ai tempi di Freud, ma il senso di inadeguatezza per non essere sufficientemente performanti o riconosciuti sul piano lavorativo, sociale, e anche sessuale, collegando così strettamente l’approvazione, ammirazione dell’altro/altri alla propria autostima.
Per quanto riguarda la sessualità, l’abbiamo sottratta dall’ambito dei divieti morali, e l’abbiamo sottoposta a quello della prestazione (cerco conferme della mia virilità o della mia avvenenza). Dov’è dunque il vantaggio? Ci troviamo sempre nell’ambito del dovere (non più tanto il dovere di attenersi a prescrizioni morali, quanto quello di essere all’altezza di prestazioni e aspettative).
E allora il piacere, che per esprimersi necessita principalmente di spontaneità, nella migliore delle ipotesi è un estraneo che si imbuca ad una festa; nella peggiore rimane fuori dalla porta.
Cosa fare per ridare al piacere il ruolo di protagonista?
Innanzitutto considerare il partner realisticamente per quello che è: non uno specchio che ci dia conferme o disconferme, che decreti il nostro successo o fallimento, ma un partner di una relazione sessuale in cui è centrale la comune ricerca del piacere, fatta però ognuno a modo proprio e a partire dalle proprie esigenze; tale ricerca richiede dunque ascolto, e stimolo reciproco alla spontaneità, in consonanza con l’autentica natura emozionale della sessualità.